INDIA (1997-2001)
We’ve left so much behind. The road’s gone; there aren’t any cars. We follow this path, with the mountains ahead of us. Everything is green, the clouds are low and white, sometimes a wooden house appears out of nowhere. The sense of freedom here is almost frightening, but I don’t think I’m ready for so much freedom. There’s such a lot ahead of me and I know nothing. What will happen, what I’ll do, what I’ll become. I feel as if I’m growing up in a fake world, but I don’t even understand what I’m talking about. I feel as if from now being an adult will mean passing through an increasingly unrelenting, unavoidable series of compromises that I really can’t be bothered with and I worry I’m not cut out for them. The world of grown-ups ... No. I’m uncertain and insecure also because I still haven’t gone through it, and how do I know what I want or don’t want to do, choose, set aside. I’d like to continue being myself, actually I’d really like to become myself, because right now I’m nothing or I’m not enough. I’m afraid I won’t become anything, that I’ll get screwed by a society pushing for chimera and ephemera. I tell myself: it’s impossible, how can I do the right thing, how can I make decisions, be ready to make sacrifices, where will I find good luck and trust ...? Then I stop thinking all this because all I can do is just get on with it. I’ll try but I’ll have to find the willpower somewhere and a way to believe instinctively in the importance of growing and gradually become myself a little more at a time. What do I need to do? Who knows… Just keep at it, but I don’t know if I can. It’s all so empty, open, all to be built. But how and where do I start?
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There is someone next to me who is trying to make me understand something.
La nostra India è cominciata come non ci aspettavamo. Mi avevano raccontato che il primo impatto è violento fin dall'arrivo, una specie di shock. Lo aspettavo con eccitazione e un po' di spavento invece fin da subito le sorprese hanno scandito il nostro tempo lì. A Delhi appena arrivati abbiamo sentito l'umidità e un caldo soffocante dal quale apparivano moltitudini di persone vestite di stracci che lentamente riempivano queti sconfinati e indistinti spazi ai lati delle strade. A nostra insaputa siamo stati accolti da una macchina mandataci a prendere dalla Piaggio e l'India all'inizio l'abbiamo vista attraverso i finestrini di una macchina con aria condizionata. Delhi è stato un inizio surreale, comodo e di cattivo gusto. Appena usciti dalla città però la vera India è cominciata e le contraddizioni ci sono state sbattute in faccia tutte insieme.
Caldo insostenibile, stordimento continuo, inconscio e completo distacco mentale da TUTTO, senso di insicurezza, fatica, ventilatori, mosche, tutto diverso ma tutto sempre uguale, sbalzi di energia, poca voglia di ridere, silenzi. Inutilità e inadeguatezza dei nostri schemi mentali e culturali nel rapportarsi a qualsiasi cosa. Pare che il mondo qui funzioni in un modo tutto suo, a noi misterioso anche se non completamente estraneo. C'è qualcosa di familiare seppellito dentro di noi chissà dove. Non c'è nè passato nè futuro, solo un presente immobile. E' impossibile pianificare, programmare e quando lo faccio succede sempre qualcosa di diverso. Dopo due settimane frustranti mi ci comincio ad abituare, e mi piace.
Qui è tutto incredibilmente complicato. Bisogna mollare, abbiamo troppe resistenze. La vita pare costellata da una serie di penitenze continue. Sembra che si debba passare attraverso un percorso di disintossicazione/purificazione.
Gli indiani sono tantissimi. Sembrano usciti da chissà quale cataclisma dal quale non riescono a riprendersi, a risollevarsi. Puri, inermi e indifesi. Non riesco mai a sentirmi in pericolo. Non si avverte mai la minaccia di essere derubati o aggrediti. Solo in India si è acquistata l'indipendenza attraverso la non violenza. C'è un sentimento di quiete e pazienza che mi continua a stupire ogni giorno. Civiltà nei modi e tolleranza assoluta nei riguardi di qualsiasi diversità. La povertà come indice di contemporaneità e avanguardia dei comportamenti sociali.
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Siamo qua da quasi un mese e molto è cambiato. Il nostro rito di purificazione ha avuto il suo culmine a Jaisalmer, ultimo avamposto indiano nel deserto de Rajasthan, davanti al Pakistan. Da lì Bikaner, poi Chandigarh e finalmente le montagne. E' stato difficile 'entrare' : sei sempre lì ad aspettarti qualcosa e tutto va diversamente, il tempo è lento e si espande, le azioni perdono consistenza. Tutto contraddice tutto. Non si capisce mai qualcosa fino in fondo, completamente. Siamo alle pendici delle montagne più alte del mondo. Dal caldo torrido siamo gradualmente saliti viaggiando per ore e ore prima attraverso il deserto, poi in vaste pianure confusamente e densamente immerse in una natura troppo più potente delle moltitudini di piccole sagome di uomini che passiamo in rassegna dai nostri bus che ora si avventurano su per queste strade diroccate senza asfalto e con dirupi spioventi da un lato. Si avverte una costante precarietà - talmente evidente da diventare simbolica e quindi applicabile a tutto - ma inevitabilmente si va avanti. Sto bene.
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Dopo qualche giorno di acclimatamento a Kullu siamo arrivati a Jari, un paesino sulla strada da cui passa l'autobus e punto di partenza del sentiero che porta a Malana. Ci fermiamo qui qualche giorno prima di continuare a piedi. Abbiamo conosciuto Riccardo. Ha passato la quarantina da poco. Sembra un bambino per come parla e si muove. E' di qualche paese tra Milano e Bergamo. Un uomo delicato e di poche parole. Dice di aver cambiato vita ma non parla del suo passato. Passiamo del tempo insieme, ci facciamo compagnia. Vive qua da 4 mesi, in una casetta di legno, in solitudine, a 15 km a piedi dalla strada. Vuole rimanere, a lungo. E' arrivato in paese a fare provviste per l'inverno che è lungo e freddo. Sembra inadatto al mondo e indifeso ed è strano immaginarlo a suo agio solo per quei lunghi mesi e capace di resistere nella radicalità della sua condizione all'asprezza delle montagne. Non ha soldi, conosce solo Ratna che lo aiuta come può. E' sempre pulito e ordinato, sobrio ed elegante.
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Ci siamo lasciati tanto alle spalle. Non c'è più la strada, non ci sono più le macchine. Seguiamo questo sentiero. abbiamo davanti a noi le montagne, è tutto verde, le nuvole sono basse e bianche, ogni tanto inaspettatamente appare una casetta di legno. Penso a Riccardo. Il senso di libertà che c'è qui fa quasi paura ma non credo di essere pronto a tanta libertà. C'è così tanto davanti a me e non so niente. Cosa succederà, cosa farò, cosa diventerò. Mi pare di crescere in un mondo finto ma non capisco neanche bene di cosa parlo. Mi sembra che da ora in poi la prospettiva da adulto dovrà passare da una sempre più pressante e obbligata serie di compromessi di cui non ho nessuna voglia e per i quali temo di non essere tagliato. Il mondo dei grandi... No. Mi sento incerto e insicuro perchè non ci sono ancora passato e quindi non posso sapere quello che vorrò o non vorrò fare, scegliere, scartare. Vorrei rimanere me stesso, anzi lo vorrei davvero diventare perchè oggi non sono niente o non lo sono abbastanza. Ho paura di non diventare nulla, di essere fregato da una società che preme per l'illusione e l'indistinto. Mi dico: è impossibile, come posso fare la cosa giusta, come potrò prendere decisioni, essere pronto al sacrificio, dove troverò la fortuna e la fiducia... Poi smetto di pensare tutto questo perchè posso solo provare e farlo davvero. Ci proverò ma devo trovare da qualche parte la determinazione e il modo per crederci ciecamente all'importanza di crescere e diventare sempre un po' più me stesso. Cosa fare in pratica... boh. Insistere con convinzione, non lo so se mi riesce. E' tutto così vuoto, aperto, da costruire.
Da dove cominciare?
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C'è qualcuno accanto a me che sta cercando di farmi capire qualcosa.
Travel notes by Lorenzo Castore
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